giovedì 24 settembre 2009

La Costituzione: ARTICOLO 1 - La sovranità del popolo ed il lavoro

L’Italia e’ una Repubblica fondata sul Lavoro.
La Sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Questo e’ il primo articolo. Due le cose importanti, da dire subito, nel primo articolo: la sovranita’ del popolo ed il Lavoro.
Qualcuno, nella recente campagna elettorale, qualcuno che ora e’ diventato ministro, diceva: anziche’ “sul lavoro” dovremmo dire “sulla ricchezza”. Il messaggio che c’era sotto e’: non e’ importante lavorare, ma piuttosto “arricchirsi”, in un modo o nell’altro, con la minor fatica possibile.
Un tempo il mito era il lavoro sicuro, poi, in anni piu’ recenti, semplicemente il lavoro (almeno precario), ora e’ far soldi, anche senza lavorare. Basti pensare a tutti quei lavori che noi non vogliamo fare piu’, che lasciamo fare agli immigrati.
I padri fondatori hanno voluto indicare il Lavoro come valore fondante di una societa’, di un paese.
La vera ricchezza di una comunita’ sta nella capacita’ dei suoi membri di costruire, di svolgere un servizio, di attivarsi per migliorare le condizioni di vita proprie e degli altri.

Siamo sicuri che questi principi siano condivisi dagli italiani, o almeno dalla maggior parte di essi ? e dai giovani ? cosa pensano i giovani di questi aspetti, su cosa vogliono fondare il loro futuro ? I nostri padri avevano “fame” (in senso molto lato), hanno sgobbato e hanno fatto rinascere questo paese. Cosa riusciremo a fare noi ? e i nostri figli ?

6 commenti:

simona ha detto...

Questo e', secondo me, uno degli articoli piu' significativi ed eticamente piu' "belli" della nostra costituzione. Il lavoro e' l'elemento fondante dello stato, cioe' della nazione intesa come popolo. Ma perche' il lavoro, e non ad esempio, la liberta' di espressione (come negli Stati Uniti). Ne parliamo spesso con i miei studenti (statunitensi) nel corso di storia contemporanea: una delle loro risposte e' questa: forse perche' sotto il fascismo il lavoro era privilegio di chi aveva la tessera del partito. Dopo la guerra' il lavoro diventa un diritto, non un privilegio, un impegno collettivo che da' dignita' individuale. Il lavoro come liberta', liberta' di creare, di costruire, di esprimere le proprie umane potenzialita' (qui si vede quanto i padri fondatori avessero attinto ai principi e valori dell'umanesimo).
Credo che oggi piu' che mai importante ricordare questo articolo e comprenderne le dimensioni etiche, politiche (nel senso della polis) e storiche. Il lavoro, come lo intendevano i nostri padri fondatori, e' una promessa e un impegno, e per questo noi dobbiamo considerarlo come essenziale al nostro progresso culturale e umano, dobbiamo proteggerlo ed insegnare ai giovani il suo valore e la sua dignita'.

Fabio ha detto...

Simo, prima di tutto grazie per questo commento. E' decisamente uno dei pochissimi che queste mie inadeguate e limitate considerazioni sulla Costituzione hanno ricevuto.
La tua esperienza americana e didattica poi è interessante, dimostra come certi temi siano universali (anche se forse non interessano tutti, ma solo persone che abbiano una particolare sensibilità ed apertura - vorrei dire curiosità - culturale).
Venendo al merito di quanto dici, mi veniva in mente anche un'altra possibilità e cioè che il lavoro possa far parte del destino dell'uomo, fin dall'inizio dei tempi, e in quanto tale sia entrato a far parte della sua stessa natura. Non sarà un caso che l'inizio dell'Antico Testamento riferisca la maledizione divina nei confronti di Adamo ed Eva, destinati a "mantenersi in vita col sudore della fronte". Interpretando questa visione come "distillato" della sapienza umana e non come rivelazione divina, il concetto potrebbe essere entrato nei cromosomi del genere umano (almeno nella cultura giudaico-cristiana e quindi europea) e percio' ormai assimilato come una legge di natura.
E' forse una interpretazione riduttiva, ma mi pare un parallelismo in qualche modo interessante ...
A presto e grazie ancora

Anonimo ha detto...

Ciao Fabio,
Certo, sono d'accordo con te: la matrice giudaico-cristiana, ormai connaturata al nostro vivere occidentale, assegna al lavoro un significato di sofferenza, di "sudore", di "fatica". E, a pensarci bene, credo che in questa originaria comprensione/acquisizione/accettazione del lavoro si sia intrecciata l'idea rinascimentale, dell'homo faber, dell'uomo creatore/agente del proprio destino. Credo sia proprio tra l'Umanesimo e il Rinascimento che si assiste a una rivoluzione paradigmatica. Al modello dell'uomo che soggiace ad una esistenza (voluta dall'alto) di sudore, fatica e dolore si viene via via affiancando quello di un uomo consapevole, artefice (e artista), che agisce piuttosto di essere "agito". E' in questo periodo che si fa strada l'idea del genio (pensa a Brunelleschi!), dell'intelletto come ricchezza e valore. A Firenze, poi, ma anche in altre citta' della penisola (e poi in tutta Europa, ma piu' tardi) questo modello si accompagna a un forte senso della civis e si esprime sia come prodotto culturale (arte, architettura, letteratura) che politico (pax laurentiana).
E allora, tornando alla nostra costituzione, a quale cultura/storia/tradizione si e' attinto per dare il senso a quel bell'articolo UNO? La domanda richiede una risposta sempre piu' complessa!
Ciao, Simo

Anonimo ha detto...

Ciao Fabio,
Avevo lasciato un post ieri e vedo che non e' apparso. Si', certo che l'interpretazione del lavoro come fatica e' culturalmente collegata alla tradizione giudaico-cristiana. Lavoro come fatica, punizione divina e, come dici tu, assimilato come legge di natura. Con il susseguirsi dei periodi storici poi il lavoro ha assunto altre connotazioni, ha dato auctoritas agli artisti del rinascimento, al genio dell'artefice giu' giu' fino a noi, che viviamo in un mondo dove il lavoro manuale, piu' umile, e spesso piu' pericoloso (menial work) lo fanno gli immigrati. Per me il lavoro ha sempre una grande dignita', soprattutto quello fatto con le mani, in silenzio, a volte (anzi spesso) nella sofferenza. Oggi il lavoro che vale di piu' (da noi, non in Italia, caso particolare!) sembra essere quello che gli studiosi chiamano "knowledge work", "problem solving" "IT intelligence". Sto lavoroando proprio a un saggio su questo. Interessante e appassionante!
Ma tutto, hai ragione, parte dalla fatica! (simo)

Fabio ha detto...

Simo, i commenti ai post pubblicati da + di due settimane hanno bisogno di moderazione, cioè li devo approvare io. Vedro' di modificare questo periodo. Questo post è piuttosto vecchio, percio' rientra nella regola.
In Italia il lavoro non vale nulla, o quasi. Anzi, se si riesce a guadagnare senza lavorare, tanto meglio. Si tende poi ad uniformare il trattamento, indipendnentemente dal contenuto intellettuale o meno. non sono rari i casi in cui un ingengere, magari al suo primo impiego, quando lo trova, guadagni come un operaio o un qualsiasi impiegato. Si insiste sempre sul "costo" del lavoro, meno sul suo "valore". La flessibilità è stata ormai introdotta anche in Italia, ma solo per far risparmiare i datori di lavoro, senza riconoscerne gli svantaggi a carico del lavoratore. Io non so se questo primo articolo rappresenti ancora la situazione italiana, penso che stiamo andando ormai da un'altra parte ... mah !
ciao

simona ha detto...

Ciao Fabio,
Avevo lasciato un post ieri e vedo che non e' apparso. Si', certo che l'interpretazione del lavoro come fatica e' culturalmente collegata alla tradizione giudaico-cristiana. Lavoro come fatica, punizione divina e, come dici tu, assimilato come legge di natura. Con il susseguirsi dei periodi storici poi il lavoro ha assunto altre connotazioni, ha dato auctoritas agli artisti del rinascimento, al genio dell'artefice giu' giu' fino a noi, che viviamo in un mondo dove il lavoro manuale, piu' umile, e spesso piu' pericoloso (menial work) lo fanno gli immigrati. Per me il lavoro ha sempre una grande dignita', soprattutto quello fatto con le mani, in silenzio, a volte (anzi spesso) nella sofferenza. Oggi il lavoro che vale di piu' (da noi, non in Italia, caso particolare!) sembra essere quello che gli studiosi chiamano "knowledge work", "problem solving" "IT intelligence". Sto lavoroando proprio a un saggio su questo. Interessante e appassionante!
Ma tutto, hai ragione, parte dalla fatica!