giovedì 10 novembre 2016

Referendum Costituzionale: 16. Diritti, doveri e garanzie

Occorre infine sfatare il mito secondo il quale la riforma, modificando soltanto la Parte seconda della Carta (sull'ordinamento della Repubblica), non intaccherebbe le garanzie contenute nella Parte prima (sui diritti e i doveri dei cittadini). In realtà, le due parti della Costituzione sono strettamente collegate.

 Diritti e istituzioni sono inscindibili 

Eguaglianza, diritti e istituzioni si legano inscindibilmente: da una parte, le politiche con le quali il Governo decide sui diritti nascono nelle istituzioni, e ne sono conformate; dall'altra, le istituzioni e le procedure contenute nella seconda parte della Costituzione sono funzionali alla realizzazione dei diritti contenuti nella prima. Ciò significa che, se mutano le procedure e le istituzioni, muteranno anche le politiche e il livello di garanzia dei diritti.
Quali leggi e politiche migliori possiamo aspettarci se il prossimo Parlamento sarà - come già quello attualmente in carica - indebolito dal sistema elettorale, ossequiente al capo, e succube dell’Esecutivo?

 Vogliamo consegnare le decisioni sui diritti a una maggioranza artificiale e senza limiti?

In nome della stabilità e della governabilità, la riforma costituzionale e l'Italicum consegnano molte decisioni fondamentali ad una maggioranza artificiale, dominata dal leader del partito e sostenuta di fatto da meno di un terzo dei consensi elettorali. Questa maggioranza potrebbe decidere da sola sui diritti fondamentali di libertà, sull'indipendenza della Magistratura, sulle regole dell’informazione, sui principi dell’etica pubblica, sulle prerogative del ceto politico, sulle leggi elettorali e perfino su ulteriori revisioni costituzionali. Il controllo dell’agenda parlamentare da parte del Governo e lo stravolgimento del sistema delle garanzie costituzionali, infine, indeboliscono i contropoteri che potrebbero opporsi al predominio di questa falsa maggioranza.
Decisioni su temi così essenziali non possono essere rimesse alla sola maggioranza di Governo, peraltro neppure realmente rappresentativa della maggioranza del Paese. Chi vuole istituzioni attente ai diritti e ai bisogni dei cittadini, capace di cogliere le esigenze del paese reale, una scuola pubblica di qualità, più tutele sul posto di lavoro, etc. deve volere anche un Parlamento rappresentativo, strumenti efficaci di partecipazione democratica e una legge elettorale che non metta bavagli artificiosi a una parte consistente del Paese reale. Deve volere che chi è chiamato a rappresentare gli interessi dei cittadini nelle istituzioni conti realmente nelle decisioni e non sia soltanto un’obbediente marionetta a cui il leader pro tempore impone le proprie decisioni a forza di voti di fiducia, maxiemendamenti, decreti - legge, voti a data certa...
Con una Camera formata da deputati nominati dai capi-partito, con una maggioranza artificiale, con un Senato depotenziato e con modalità di elezione confuse e contraddittorie... come potrà ancora dirsi che "la sovranità appartiene al popolo" (art. 1 della Costituzione)?

Tutti i testi pubblicati sono a cura di: Gisella Bottoli, Lorenzo Spadacini, Marco Podetta, Alessandra Cerruti, Francesca Paruzzo e Diletta Pamelin

martedì 8 novembre 2016

Referendum Costituzionale: 15. Il cittadino può attendere

Rimandando ad un'eventuale legge futura il potenziamento effettivo degli strumenti di democrazia diretta, nell'immediato la riforma non fa che creare nuovi ostacoli agli istituti già esistenti.

 Iniziativa popolare: triplicato il numero di firme 

Il numero di firme necessarie per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare viene triplicato: da 50mila a 150mila.
Questa significativa limitazione ad una delle forme esercizio diretto della sovranità da parte dei cittadini non è giustificata da un eccessivo utilizzo dello strumento dell'iniziativa popolare (dal 1979 ad oggi solo l’1,15% delle proposte di legge d'iniziativa popolare sono state approvate dal Parlamento).
Non è giustificabile neppure alla luce dei “tempi certi” di discussione che la riforma vorrebbe garantire a tali leggi, perché secondo il nuovo art. 71 Cost. essi saranno stabiliti dai regolamenti parlamentari, cioè da atti affidati alla maggioranza, la stessa ottenuta con il premio di maggioranza previsto dall’Italicum. Sarà quindi il partito vincente a decidere sull’eventuale adeguamento dei regolamenti e quindi sulle sorti della democrazia partecipativa e diretta.

 Referendum: nuovo quorum 

La riforma finisce per aumentare anche il numero delle firme necessarie per la richiesta dei referendum: infatti, se si vuole che il quorum partecipativo sia calcolato sulla maggioranza dei votanti all’ultima elezione della Camera dei deputati anziché sulla maggioranza assoluta degli aventi diritto, le firme da raccogliere a sostegno della richiesta non saranno più 500mila, bensì 800mila.
Resta in ogni caso possibile la raccolta di 500mila firme, ma in tal caso il quorum partecipativo rimane fissato nella metà più uno degli aventi diritto (un ostacolo, in tempi di grande astensione, difficilmente sormontabile).

Tutti i testi pubblicati sono a cura di: Gisella Bottoli, Lorenzo Spadacini, Marco Podetta, Alessandra Cerruti, Francesca Paruzzo e Diletta Pamelin

lunedì 7 novembre 2016

Referendum Costituzionale: 14. La Supremazia, ovvero la restaurazione del centralismo

La finalità di accentramento del potere sottesa alla riforma del Senato emerge anche in relazione alla nuova disciplina dei rapporti tra centro e periferia. La riforma realizza infatti una netta inversione di tendenza rispetto alla riforma del Titolo V realizzata nel 2001, prevedendo una nuova ripartizione delle materie - di competenza, rispettivamente, dello Stato o delle Regioni ordinarie - e reintroducendo una clausola di supremazia statale. Si sconfessa, così, l'evoluzione storica, sociale, economica e politica degli ultimi decenni. Nulla cambia, invece, per le Regioni a Statuto speciale, che mantengono intatti i propri privilegi.

 La nuova ripartizione delle materie 

Viene abolita la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, così come era stata delineata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, e molte delle materie che erano così disciplinate vengono ricondotte alla competenza esclusiva dello Stato.
In realtà, però:
– in molte materie la funzione legislativa dello Stato continuerà a concorrere con quella delle Regioni: la competenza esclusiva statale dovrà infatti limitarsi alle «disposizioni generali e comuni», formulazione di incerto significato che spetterà alla Corte costituzionale chiarire nella sua reale portata;
– in altre (ordinamento delle comunicazioni, grandi reti di trasporto, produzione e distribuzione nazionale dell’energia, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ecc. ) è previsto che lo Stato possa delegarne alle Regioni l’attuazione, attraverso norme di tipo regolamentare.

 I limiti della riforma del 2001 

Le modifiche introdotte nel 2001 avevano alimentato un difficile contenzioso tra Stato e Regioni davanti alla Corte costituzionale (soprattutto in tema di legislazione concorrente).
Molte delle questioni di competenza risolte in questi anni verranno riaperte con l’aggiornamento delle competenze e la ri-centralizzazione prevista dalla riforma.

La clausola di supremazia statale

Il depotenziamento delle autonomie territoriali è soprattutto legato alla previsione della cd. “clausola di supremazia” statale. Essa consiste nella possibilità che una legge dello Stato - su proposta del Governo, che se ne assume la responsabilità - possa intervenire in una materia che non è riservata dalla Costituzione allo Stato, derogando al normale ordine delle competenze perché lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero dell’interesse nazionale.

Tutti i testi pubblicati sono a cura di: Gisella Bottoli, Lorenzo Spadacini, Marco Podetta, Alessandra Cerruti, Francesca Paruzzo e Diletta Pamelin

domenica 6 novembre 2016

Referendum Costituzionale: 13. Il Premierato Assoluto

Il Parlamento, nella tradizione parlamentare democratica, è il luogo della rappresentanza, là dove l’intero popolo è rappresentato. È il luogo del confronto pubblico e trasparente, mentre il Governo è, soprattutto, il luogo dell'attuazione dell'indirizzo elaborato nel dibattito parlamentare. Se il Governo gode della fiducia del Parlamento significa che è sostenuto dalla maggioranza dei rappresentanti dei cittadini, e dunque, almeno in astratto, dalla maggioranza del popolo. È solo in questo che trova la legittimazione per governare e, se necessario, per imporre sacrifici al Paese.

La combinazione della riforma con l'Italicum:
– trasformerebbe la forma di governo in senso verticistico, consegnando alla falsa maggioranza creata dal premio molti dei pesi e contrappesi esistenti e distorcendo il legame di rappresentanza che lega i cittadini agli eletti;
– porterebbe verso una "democrazia d'investitura", in cui la stabilità e la forza delle istituzioni sono subordinate alla compattezza del partito ed al carisma dell'uomo al comando, invece che all'esercizio di una cittadinanza attiva ed alla qualità del confronto delle forze politico - sociali in Parlamento.

 Gli effetti: 

1) La distorsione della rappresentanza 

L'Italicum attribuisce un premio di maggioranza, pari al 54% dei seggi alla Camera, alla lista (cioè al partito) che raggiunga almeno il 40% dei voti al primo turno. Questo crea una forbice artificiale tra voti (40%) e seggi (54%) e permette ad un solo gruppo politico di diventare dominante. A causa della frammentazione del panorama politico, poi, è molto probabile che i partiti e movimenti che si classificano ai primi due posti al primo turno abbiano ottenuto basse percentuali di voti (il 20%, il 15%, addirittura il 10%).
Con il ballottaggio, essi comunque accedono al secondo turno e ottengono il premio, a prescindere dalla percentuale di elettori che partecipano al voto. In questo caso la distorsione della rappresentanza può diventare molto elevata, risolvendosi in un’intollerabile violazione del principio di eguaglianza del voto.
In definitiva, un solo partito con pochi consensi reali nel Paese potrebbe avere in Parlamento una maggioranza blindata, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, dovrebbero dividersi i seggi rimanenti.

2) Lo strapotere di una minoranza 


La riforma costituzionale prevede poi che questa maggioranza (fittizia) di eletti - che rappresenta una minoranza di elettori - voti la fiducia al Governo e faccia le leggi ordinarie. Non solo. Con ben 340 seggi alla Camera potrà anche:
– influenzare l'approvazione delle riforme costituzionali;
– dichiarare lo stato di guerra (spetta alla sola Camera e sono sufficienti 316 voti, cioè la maggioranza assoluta dei membri);
– decidere su amnistia e indulto (spetta alla Camera e servono 80 voti in più di quelli assicurati dal premio);
– derogare alle competenze regionali in nome dell’interesse nazionale;
– imporre alla Camera una votazione a data certa su un proprio disegno di legge;
– decidere i regolamenti parlamentari;
– precisare il contenuto dello statuto delle opposizioni, che dovrebbe tutelare le minoranze parlamentari ma - come ogni altro regolamento parlamentare - è destinato ad essere approvato a maggioranza assoluta;
– condizionare l’elezione degli organi di garanzia, quali il Presidente della Repubblica, i membri del Consiglio Superiore della Magistratura e i giudici della Corte costituzionale.

3) Lo squilibrio tra le Camere 

È sproporzionato che la Camera più numerosa (630 membri) ed eletta direttamente dai cittadini possa scegliere solo 3 giudici della Corte costituzionale, mentre ad un Senato di soli 100 membri (per di più ad elezione indiretta, tramite i Consigli regionali) ne spettino ben 2.
È inoltre singolare che l’elezione di un organo costituzionale non territoriale, quale la Consulta, avvenga da parte di un organo, il Senato, che dovrebbe rappresentare le istituzioni territoriali. E per di più, con il concorso di cinque voti dei senatori scelti dal Presidente della Repubblica.

4) Lo squilibrio tra Governo e Parlamento 

L’Italicum prevede che ciascuna forza politica indichi preventivamente il nome del proprio leader, candidandolo di fatto al ruolo di Presidente del Consiglio. Così, se si arrivasse al ballottaggio, il capo della forza politica vincente finirebbe per ricevere una sorta di investitura diretta, anche se a votarlo fosse una parte minoritaria del totale degli elettori.
Nei fatti siamo di fronte all'elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Ciò crea un forte squilibrio di legittimazione tra il Primo Ministro e il Parlamento e attribuisce al potere Esecutivo una posizione di supremazia rispetto al legislativo.
Inoltre, l'indicazione preventiva del capo della forza politica rappresenta un limite oggettivo alle prerogative del Presidente della Repubblica, il quale dovrà necessariamente dare l’incarico di formare il Governo al «capo» della lista che ha vinto. Ne verrebbe compromesso il suo ruolo di controllo e di garanzia nonché la sua estraneità all’indirizzo politico di Governo o di maggioranza.

5) Un plebiscito per il leader 

Sostanzialmente, ciò su cui saranno chiamati a pronunciarsi gli elettori sarà la formazione del Governo. L’elezione dei parlamentari sarà solo una conseguenza dell’investitura politica del Governo, nonostante la forma di governo resti - almeno formalmente - parlamentare. La competizione elettorale verrà totalmente sradicata dalle circoscrizioni elettorali locali e si svolgerà necessariamente come una competizione tra i leader: la scelta reale avverrà tra i Renzi, i Grillo, i Berlusconi, i Salvini, etc.
Trasformare il voto in un plebiscito per il capo annulla la legittimazione politica dei parlamentari e spezza il meccanismo fondamentale della rappresentatività, del rapporto con gli elettori, la funzione delle organizzazioni intermedie e dei territori.

6) L'accentramento del potere all'interno dei partiti politici 

Le minoranze interne ai partiti, le cui sorti sono già parzialmente compromesse dalla regola dei capilista bloccati, saranno indotte a uniformarsi sempre più agli indirizzi del «capo», vero motore politico del sistema, in quanto titolare di un rapporto diretto e privilegiato con gli elettori.
La carriera dei singoli parlamentari non dipenderà dal giudizio che gli elettori daranno su di loro, ma dal giudizio sul leader, per cui dal giorno dopo l’elezione, in una Camera con maggioranza assoluta assicurata, essi saranno in cerca di un soggetto che garantisca loro la rielezione (a conferma di quanto è già avvenuto negli ultimi due anni e mezzo: 325 migrazioni di gruppo parlamentare in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti) e saranno fedeli al leader finché sarà popolare. Così - si dice - si permette la governabilità.
In realtà, è quando l’investitura è solo nella leadership che il Paese è ingovernabile; i parlamentari, infatti, non sono solo espressione di consenso, ma anche agenti di costruzione del consenso, e giustificano quanto si decide in modo mediato tra le varie posizioni.

7) Da Repubblica dei partiti a Repubblica d’un partito 

L’asimmetria nella legittimazione del Presidente del Consiglio rispetto ai parlamentari determina un’alterazione negli equilibri tra Governo e Parlamento, tutta in favore del primo.
Ne risulta un modello di democrazia maggioritaria, nel quale chi vince prende tutto e chi perde ha soltanto un semplice diritto di parola, ma non può incidere in alcun modo sulle scelte che riguardano la vita del Paese, sia nelle sedi parlamentari sia in quelle di partito.
Di fatto muta la forma di governo. Invece di essere soltanto “primus inter pares”, come lo vuole la Costituzione del 1947, il Presidente del Consiglio diviene il vertice esponenziale del Governo, dotato di legittimazione propria e di poteri non adeguatamente controbilanciati. Il Premier dominerà pertanto la Camera dei deputati senza che gli si possa opporre alcun potenziale contro - potere: né esterno, essendo il Senato ormai irrilevante, né interno, stante l’indebolimento delle commissioni d’inchiesta e la mancanza di inchieste di minoranza.

8) L'uomo solo al comando 

Ci troveremo di fronte ad una Repubblica del Premier in cui un solo partito (neppure più una coalizione) si "porta a casa" la maggioranza del Parlamento che, così, diviene ostaggio del potere esecutivo. Insomma, un uomo solo al comando, quello che Leopoldo Elia aveva definito come "premierato assoluto".
E' la realizzazione di un disegno che è stato per decenni il senso dell'ideologia della "Seconda Repubblica", un'ideologia elaborata a partire dalla fine del centrismo democristiano, passata attraverso il progetto di Grande Riforma di Bettino Craxi e rilanciata dal governo Berlusconi. Un'ideologia fondata sulla governabilità a tutti i costi, sul decisionismo del leader, condotta da un numero ristretto di politici, finalizzata a correggere il metodo parlamentare della concertazione tra partiti. Retta,infine, su una cittadinanza, apatica.

 Una forma di governo ben diversa dal presidenzialismo 

La riforma non crea una forma di governo presidenziale, dal momento che questa comunque si basa sulla divisione del potere. L’esempio statunitense lo dimostra: il Presidente Obama non concentra affatto il potere politico, ma deve continuamente contrattare con il Congresso (ecco perché ha incontrato notevoli difficoltà per affrontare temi caldi quali la riduzione della circolazione delle armi o la riforma sanitaria, che era nell’agenda dei presidenti Usa dai tempi di Carter); molto spesso, poi, il Parlamento americano è dominato dal partito opposto a quello di cui è espressione il Presidente.
In Italia, invece, finiremmo per eleggere un capo automaticamente dotato di una maggioranza più che assoluta in Parlamento: un simulacro di assemblea, che sarebbe in realtà una sua emanazione. In definitiva, si avrebbe una forma di governo «neoparlamentare», come quello realizzato nei Comuni e nelle Regioni, con l’elezione diretta del capo dell’Esecutivo, l’elezione dell’organo assembleare, la fiducia dell’assemblea all’Esecutivo, ma nella quale un'eventuale crisi di Governo comporta l’automatico scioglimento dell’organo assembleare (che, dunque, per sfiduciare il leader deve assumere un atteggiamento da kamikaze…).


Il desiderio di un padrone
«... c’è un motivo di fondo che ritorna: la voglia del “padre” o del “padrone”, di “qualcuno”, insomma, che decide per tutti senza trovare ostacoli e col suo potere aggiusta sempre le cose.
Una tendenza antica di secoli, indice delle tradizioni despotiche italiane, risorgenti dalle viscere sociali» Così diceva Gaetano Arangio - Ruiz, a fine Ottocento, parlando del potere personale di Crispi e contrapponendolo al sistema parlamentare: «quello che contraddice alle forme di Governo esclusivo, è in antagonismo con la necessità di concentrar tutto in un uomo, che è idea per l’appunto esclusiva» ed invece si basa «sulla utilità di tutti, necessità di nessuno».

Tutti i testi pubblicati sono a cura di: Gisella Bottoli, Lorenzo Spadacini, Marco Podetta, Alessandra Cerruti, Francesca Paruzzo e Diletta Pamelin

martedì 1 novembre 2016

Referendum Costituzionale: 12. Il combinato-disposto

La nuova legge elettorale, l’Italicum, prevede un sistema elettorale che non corrisponde a nessuno dei modelli esistenti in democrazia e impone per via giuridica la formazione di una maggioranza fissa alla Camera (340 deputati), al di là di come i cittadini voteranno. Pur dichiarandosi formalmente proporzionale, infatti, prevede un abnorme premio di maggioranza che ne fa un caso isolato in Europa, con l'unica - ma non rassicurante - eccezione dell'Ungheria di Orban. Saremo l’unico sistema parlamentare che avrà un vincitore la sera delle elezioni.

 Precedenti storici 

Sono state fatte leggi elettorali simili nel corso del Novecento:
– la legge Acerbo del 1923: se la lista più votata a livello nazionale avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i 2/3 dei seggi della Camera dei deputati; tutte le altre liste si sarebbero divise 1/3 dei seggi. Se nessuna avesse superato la soglia, non sarebbe stato assegnato alcun premio di maggioranza e tutti i seggi sarebbero stati ripartiti tra le liste in proporzione ai voti ricevuti;
– la “legge - truffa” del 1953: il premio di maggioranza assegnava il 65% dei
seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato il 50% dei voti validi;
– il cd. Porcellum (con cui abbiamo votato alle ultime elezioni): non prevedeva una soglia minima di voti per ottenere il 54% dei seggi in Parlamento; assegnava il premio di maggioranza al Senato su base regionale, creando il rischio che il premio venisse assegnato a una lista diversa in ogni Regione e si creassero maggioranze diverse tra le due Camere.

 L'italicum 

L'Italicum prevede un meccanismo apparentemente proporzionale (seggi contesi per liste di candidati) ma è sostanzialmente maggioritario, perché assegna alla lista che vince - al primo o al secondo turno - più della maggioranza assoluta alla Camera (340 seggi su 630). Nei fatti, funziona come il Porcellum considerato illegittimo dalla Corte costituzionale.
Nella sentenza n. 1/2014 la Corte afferma che, per non distorcere eccessivamente la volontà degli elettori in nome della governabilità, occorre stabilire una soglia minima di voti da raggiungere per far scattare il premio di maggioranza.
Dunque: se l’elettorato è molto diviso, il Parlamento deve rispecchiare queste divisioni; se invece una forza politica arriva molto vicina alla maggioranza, il premio di maggioranza può servire a darle la maggioranza assoluta.
L’Italicum fissa una soglia del 40%, ma, se nessuno la raggiunge al primo turno, si va al ballottaggio tra le prime due liste più votate, a prescindere da quanti voti avessero ottenuto al primo turno, e alla vincitrice viene comunque assegnato il premio. Per essere chiari: con la legge fascista Acerbo perché scattasse il premio occorreva avere almeno il 25% dei voti; con l’Italicum può essere sufficiente una percentuale più bassa!
Con l’Italicum, l’Italia è l'unico tra i 28 Paesi dell’UE ad avere adottato un sistema elettorale con premio di maggioranza, doppio turno di lista e attribuzione certa di una maggioranza più che assoluta dei seggi a un solo partito.
Un premio di maggioranza così grande esiste solo in Ungheria, mentre in Grecia, anche se il partito più votato riceve un premio di 50 deputati su 300, nelle elezioni degli ultimi anni ciò non ha mai consentito al vincitore di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi.
L'Italicum non ci avvicina neppure:
– alla Germania, dove (dopo Hitler) non si è mai avuto un Governo composto da un solo partito né un Governo uscito meccanicamente dalle urne la sera delle elezioni;
– alla Spagna, in cui il sistema elettorale favorisce il bipolarismo, ma non lo assicura (nelle ultime elezioni segnate da scelte elettorali diverse dai tradizionali popolari e socialisti, non è emerso dal voto un Governo precostituito); né ci avvicina ai Paesi in cui esiste un sistema elettorale maggioritario a doppio turno, perché:
– in Francia il doppio turno (di collegio uninominale) non assicura affatto di conoscere il vincitore la sera delle elezioni, perché se il sistema politico diventa tripolare - cioè se emergono più di due forze politiche consistenti - il Parlamento francese non avrà una maggioranza predefinita;
– il sistema inglese (uninominale maggioritario senza alcun correttivo) attribuisce la maggioranza dei seggi ad un partito che ottiene meno della maggioranza assoluta dei voti (quando sia, cioè, leggermente minoritario), ma ciò non accade sempre: nella scorsa legislatura nessuno ha avuto la maggioranza e si è fatto un Governo di coalizione tra conservatori e liberali.

Cosa è accaduto nelle elezioni politiche del 2013, con il premio di maggioranza del Porcellum

COALIZIONE/LISTA          VOTI RICEVUTI (%)          SEGGI ALLA CAMERA
Centrosinistra                        29,55%                                  345 su 630 (54,7%)
Centrodestra                          29,18%                                  125 su 630 (19, 8%)
M5S                                        25,56%                                  109 su 630 (17,3%)

Ad una differenza di 280.000 voti tra la coalizione di centrosinistra e centrodestra, pari allo 0,96% dei voti totali, è corrisposto un divario di 220 seggi!


Tutti i testi pubblicati sono a cura di: Gisella Bottoli, Lorenzo Spadacini, Marco Podetta, Alessandra Cerruti, Francesca Paruzzo e Diletta Pamelin