Un Referendum oppositivo
È importante invece sottolineare come il referendum regolato dall’articolo 138 della Costituzione abbia una funzione oppositiva, ultima risorsa di chi non ha potuto avere direttamente voce in Parlamento e si rivolge direttamente al popolo sovrano.
Se in seconda votazione non si ottiene la maggioranza dei 2/3, - segno che la riforma non esprime una condivisione tra le forze che siedono in Parlamento - , 1/5 dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 Consigli regionali, possono fare richiesta di referendum. Tra questi soggetti non è previsto il Governo.
Il Presidente del Consiglio Renzi ha invece personalizzato la consultazione referendaria, trasformandola in un plebiscito sulla sua persona e legando la sorte del suo Governo alla vittoria dei Sì. Il “Capo” si pone in relazione immediata con il “suo” popolo al di là del proprio partito, cerrcando di costruirsi un’autonoma risorsa di legittimità direttamente alla fonte.
Ma la posta in gioco è ben più alta della sopravvivenza di un Governo: riguarda la qualità del nostro sistema democratico e il pericolo, derivante dal combinato disposto con la legge elettorale Italicum, di una modifica nei fatti del nostro sistema parlamentare. Se non ci opponiamo, ciò potrebbe portare ad un rafforzamento dell’Esecutivo senza alcun contrappeso.
Un Referendum disomogeneo
Un altro elemento da sottolineare è che il testo della riforma è fortemente disomogeneo nel contenuto. Esso costringe l’elettore ad esprimere contestualmente, con un solo voto, la propria adesione o il proprio dissenso sulla totalità delle modifiche, anche nel caso in cui fosse favorevole solo a parte di esse. Insomma, prendere o lasciare tutto in blocco. Più volte la Corte costituzionale ha affermato, sia pure con riferimento al referendum abrogativo di cui all’art. 75 Cost., che i quesiti referendari non devono contenere una pluralità di questioni eterogenee, tali da non permettere una risposta chiara e precisa, articolata in un sì o un no.
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