martedì 26 ottobre 2010

Fabbrica Italiana Automobili Torino

Spero che se Marchionne porterà via veramente dall'Italia la Fiat, almeno abbia il buon gusto di cambiarle nome. Per non creare confusione nella clientela.
Quanto detto domenica dall'AD di FIAT è una chiara dimostrazione di quanto siamo messi male oggi in Italia, nei rapporti tra imprenditori e lavoratori, tra classe dirigente e operai. E' un rapporto malato, squilibrato, segnato da reciproca sfiducia e scollamento. Lo stesso che abbiamo piu' volte stigmatizzato e cercato di spiegare anche tra politica e gente comune.
Dare la colpa agli operai per tutti i mali che minano la competitività del nostro Paese, mi sembra miope, oltre che ingiusto: se le cose vanno bene, il merito è dei managers, che si intascano poderosi premi e dividendi. Se invece vanno male, la colpa è degli operai. Anzi, si cerca di dividere tra loro i lavoratori, di metterli in conflitto gli uni contro gli altri, per poterli sfruttare meglio: divide et impera, dicevano i romani.
Ma perchè in Germania, o negli Stati Uniti, dove il lavoro costa due o tre volte piu' che da noi, le cose vanno molto meglio?
Una cosa credo faccia la vera differenza e sia indispensabile se vogliamo rinnovare il modo di intendere il lavoro: il senso di appartenenza. Un lavoratore tedesco è orgoglioso di lavorare per la sua azienda, perchè sa che l'imprenditore si fida di lui e lo sa valorizzare. Negli Stati Uniti è ancora piu' spinto questo "sense of belonging", addirittura con manifestazioni che a volte rasentano il ridicolo o il grottesco. Noi Italiani siamo esattamente all'opposto: il nostro datore di lavoro è visto come una controparte, non si perde occasione per cercare di denigrarlo, di "fregarlo". Sentimenti specularmente e abbondantemente ricambiati dal "padrone", in maniera reciproca. Percio' ogni occasione è buona per cercare di trarre i massimi vantaggi a se stessi (sia da una parte che dall'altra), a volte anche rischiando di compiere veri e propri abusi o addirittura dei reati (non mancano gli esempi, da una parte e dall'altra).
In Germania i sindacati siedono nei consigli di amministrazione delle aziende, anche se in minoranza, ne condividono scelte e responsabilità, perchè hanno capito che una impresa che funziona bene fa il bene di tutti. Gli imprenditori apprezzano questa presenza ed il comportamento responsabile dei sindacati, perchè sanno che senza di loro non si va da nessuna parte. Ciascuna delle due parti sa che l'altra è indispensabile per ottenere quella sicurezza e quel benessere che diviene "bene comune" per tutti. Non mancano le contrapposizioni, non mancano le trattative, nemmeno gli scioperi mancano, ma alla fine si cerca il maggior consenso possibile, per il bene di tutti.
Da noi, no: l'AD della maggiore fabbrica italiana, una delle poche industrie manifatturiere ormai rimaste, dice in televisione che la parte italiana delle sue fabbriche non produce un Euro di utile operativo, per colpa delle richieste esose e dei comportamenti assenteisti degli operai. Il ministro delle Finanze addirittura dice che la sicurezza sul lavoro e i diritti "perfetti" sono un lusso, che in Cina o in Bulgaria non si possono permettere: loro lavorano e noi siamo in cassa integrazione.
Mi vengono in mente poche eccezioni che confermano questa regola ormai diffusa: la Ferrero e l'Esselunga sono due aziende "padronali", un proprietario (o una famiglia) che decide la politica industriale, le strategie. Nessun azionariato diffuso, società non scalabili in borsa, aziende che non hanno come priorità massima il dover produrre dividendi per i loro azionisti. Sindacalizzazione ai minimi e comunque morbida. Eppure sono due società sane, la prima esporta in tutto il mondo, la seconda è costantemente oggetto delle mire di gruppi stranieri, sempre rifiutate. Due aziende i cui dipendenti sono orgogliosi di lavorarvi, di appartenere a quel gruppo di persone che tutte assieme hanno fatto la fortuna di quel marchio, di quella "intrapresa". Imprenditori "illuminati", lavoratori valorizzati e contenti.
Quanti lavoratori in Italia possono dire altrettanto? vantarsi di lavorare per una certa società, esserne fieri? ce ne sono, senz'altro, ma forse si contano sulle dita delle mani.
Caro Marchionne, forse quello che ti serve per aumentare il valore delle azioni FIAT lo troverai in Polonia o in Brasile o in Serbia. Ma se il trattamento che verrà riservato a quelle maestranze sarà lo stesso di quello usato qui da noi, il tuo successo sarà effimero e passeggero. E non andrai lontano.
Il rispetto per gli altri essere umani è l'ingrediente indispensabile per lasciare un segno, per rimanere nella storia positiva di un Paese. Purtroppo, è ormai merce assai rara dalle nostre parti.

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