L'abbiamo tutti percepito come un piccolo passo avanti per la difesa dei diritti del popolo tibetano, compiuto poi proprio grazie al premio Nobel per la pace 2009, nonchè presidente della nazione piu' importante del mondo (almeno per il momento). Tant'è vero che la Cina, attualmente nazione occupante militarmente il piccolo territorio del Tibet, ha sollevato pesanti e prevedibili proteste. Non una cosa da poco, quindi.
A rovinare questo felice risultato, c'hanno pensato alcuni commentatori, raccontandoci che quasi sicuramente questo incontro e' stato semplicemente una mossa tattica dell'amministrazione Obama, un espediente per ribadire la propria forza e per ricondurre a piu' miti consigli la potente nazione cinese.
La questione Iran, dove la Cina si è detta non disponibile alle sanzioni, la posizione cinese alla recente conferenza di Copenhagen sul clima, contraria a sforzi troppo compromettenti, il crescente peso economico della Cina non ancora ufficialmente compresa nel G8, tutto contribuisce a raffreddare il dialogo, consentendo alla Cina di assumere un ruolo troppo rilevante e "indipendente" nello scacchiere mondiale. Almeno per il momento.
Ecco allora la vecchia politica del bastone e della carota, con l'intento di piegare le resistenze cinesi e di ribadire il ruolo di guida "prioritaria" per gli Stati Uniti. Manovra riuscita, sembra, secondo le ultime dichiarazioni molto distensive del governo cinese.
Quindi, niente illusioni: il Dalai Lama continuerà a peregrinare per il mondo, mentre il suo paese sara' sempre piu' "normalizzato" e "civilizzato" dalla potenza cinese. Intanto la Cina si accorderà su qualche sanzione economica nei confronti dell'Iran e l'Arabia Saudita lucrerà sulle forniture di petrolio verso la Cina, in sostituzione di quelle non piu' disponibili dall'Iran.
In attesa della prossima mossa.
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